25 aprile 1945 – 25 aprile 2018
Sagrado d’Isonzo, 25 aprile 2018
Sull’attualità dei valori ideali della Resistenza
Testo di Silva Bon
Siamo qui riuniti in un’occasione pubblica importante. Infatti la nostra presenza vuole dare significato e spessore alla ricorrenza storica del 25 aprile 1945, giorno scelto quale data topica che celebra la Liberazione dell’Italia dall’occupazione tedesca di parte del territorio nazionale e ancora la fine della seconda guerra mondiale e la sconfitta degli eserciti fascisti e nazisti in Italia e in Europa.
Sono trascorsi più di settant’anni da quello storico evento, che è stato reso possibile per la strenua Lotta e Resistenza degli stati democratici e delle forze politiche e militari, frutto dell’aggregazione di donne e uomini, che hanno scelto e voluto combattere in nome di valori che oggi noi riconosciamo come beni inalienabili universali. Questi valori sono racchiusi in parole altisonanti, che però non ci devono intimorire per la loro assolutezza: sono la libertà, in primo luogo; la democrazia; la giustizia; l’uguaglianza; la pace; il diritto al rispetto reciproco e il riconoscimento del lavoro come base di vita e convivenza sociale.
Sono alcuni dei valori che stanno alla base della nostra Costituzione, il documento scritto dai Costituenti nei mesi successivi alla Liberazione, che regola da allora lo Stato della Repubblica Italiana e costituisce una elaborazione politica e giuridica tra le più aperte e valide a livello internazionale.
Per conseguire questi beni ideali, molti uomini e donne, in Italia, in Europa e nel mondo hanno affrontato sacrifici immani, hanno immolato le loro giovani vite, perfino, dando prova di una forza di volontà, di una determinazione, che erano possibili solo combattendo in nome della giustezza della loro causa, del loro impegno totale.
Fin dai primi anni Venti del Novecento nel nostro Paese si era affermata con la violenza e la prevaricazione la dittatura di Benito Mussolini, che aveva instaurato un regime totalitario connotato dalla ideologia fascista, imposta alla popolazione italiana nelle forme più onnicomprensive.
Il fascismo al potere aveva cancellato ogni possibilità di dialogo e di confronto aperto, e aveva schiacciato la sopravvivenza di ogni forma politica, sociale, culturale difforme o dissonante.
Il regime fascista significava oppressione, impossibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero. Esso si imponeva attraverso la forza militare e la demagogia massmediatica; occupava tutti gli spazi della vita pubblica e privata, finanche del tempo libero; cresceva le giovani generazioni nell’indottrinamento e nell’osservanza di un pensiero unico, lasciandole nell’ignoranza completa di esperienze, di realtà e di vite diverse.
Chi si opponeva al fascismo così imposto al popolo italiano correva il pericolo di messa al bando, di essere perseguitato, di perdere perfino la vita.
Chi combatteva l’oscurantismo totalitario dominante era costretto a farlo nella clandestinità, nell’emigrazione, mettendo continuamente sé stesso in gioco, in un gioco mortale.
L’entrata in guerra, nella seconda guerra mondiale, dell’Italia fascista accanto alla Germania nazista, nel 1940, coinvolge tutta la popolazione in un drammatico conflitto generalmente non voluto dagli Italiani, un conflitto che mette in luce le debolezze, le manchevolezze, le colpe del regime, l’impreparazione militare ed esaspera le contraddizioni fino a giungere alla caduta di Mussolini nel luglio 1943.
L’armistizio con le forze alleate, l’8 settembre 1943, porta a esiti parossistici: scatta il piano di occupazione militare del suolo italiano da parte dell’esercito tedesco e l’Italia diventa teatro di una guerra ancora lunga, dolorosa, dagli esiti che sembrano perfino incerti.
Dopo l’8 settembre si coagulano le forze degli antifascisti italiani, venuti allo scoperto, pronti a combattere in nome della libertà per ristabilire i diritti della democrazia, contro le ideologie imperialiste fasciste e naziste, contro il giogo oppressore imperante in Italia e in Europa: si tratta di una guerra totale.
Credo che il valore precipuo degli uomini e delle donne entrati nelle file della Resistenza, così militare come civile, che si oppone al nemico nazifascista sta in una forma speciale, un modo di essere che potremmo chiamare, con un termine psicoanalitico, Resilienza: cioè quella forza morale e umana che si pone obiettivi altissimi, forte e consapevole, allora, della rischiosità dell’impegno politico, della contrapposizione militare; e lotta con coerenza, con perseveranza, con determinazione, con assoluta forza di volontà e spirito di sacrificio per raggiungere tali obiettivi, la liberazione del proprio paese, come dell’Europa, da ogni forma di violenta prevaricazione dei regimi oppressori totalitari nazifascisti. Si tratta di una forza morale che in ogni momento fa nascere, rinascere il coraggio di lottare, la volontà di recuperare, la fede nella vittoria finale.
Nella nostra regione, qui al Nord Est d’Italia, si organizza un Movimento di Liberazione che presenta delle strutture molto complesse, per la vicinanza e contiguità con le popolazioni della Jugoslavia, slovene e croate. La minoranza slovena residente nel territorio italiano era stata conculcata e aggredita dal fascismo fin dai primissimi anni Venti del Novecento. Il Regno dei Serbi, Croati, Sloveni era stato invaso dagli eserciti fascista e nazista e subito dopo smembrato e occupato militarmente fin dall’aprile 1941. In Jugoslavia si formano i primi gruppi di resistenti, i partigiani, in tempi precoci: è la prima Resistenza armata agli imperialismi totalitari fascista e nazista che si organizza in Europa.
Dopo l’8 settembre 1943 le truppe naziste, per volontà di Adolf Hitler, führer della Germania, danno corpo alla struttura militare e politica della Operation Zone Adriatisches Küstenland, la Zona d’Operazioni del Litorale Adriatico, che sarebbe venuta a far parte integrante del Grande Reich in caso di vittoria tedesca. Nel Litorale Adriatico, che conglobava il Friuli, la Provincia di Lubiana, l’Istria, Fiume, e aveva come centro direzionale Trieste, le leggi naziste vengono applicate con una ferocia e una prevaricazione inaudite. Qui trova posto un lager, un campo di concentramento e di morte, la Risiera di San Sabba, che vede allestito anche un forno crematorio, dove vengono bruciati i corpi di migliaia di partigiani italiani, sloveni e croati, trucidati barbaramente. Anche la persecuzione contro i diversi per religione, gli ebrei, iniziata con le leggi razziali fasciste, ancora nel 1938, porta alla deportazione e alla gassazione migliaia di persone, bambini, donne, uomini, giovani e vecchi, sotto l’occupazione nazista. I transport sui treni con i vagoni bestiame, che partono dalle stazioni ferroviarie di Trieste, Monfalcone, Udine, Gorizia, alla volta dei lager nazisti occultando il dolorante carico umano di partigiani, oppositori politici, militari e civili, nemici razziali sono percentualmente i due terzi di quelli che transitano dall’Italia.
La Lotta di Liberazione nella nostra regione è dunque lotta totale contro un regime di occupazione tedesca che senza soluzione di continuità si era sovrapposto alle forme di prevaricazione fasciste più accese: Lotta per la libertà del proprio Paese, per l’affermazione di diritti politici e sociali inalienabili, ma anche di diritti umani di rispetto e di uguaglianza, contro le discriminazioni di ogni tipo, così nazionali come religiose.
Sono passati più di settant’anni dal 1945, e quotidianamente si pongono alla nostra attenzione problemi spaventevoli, difficili da risolvere. Ma sono convinta che gli ideali che hanno guidato i Resistenti costituiscono valori ancora oggi pienamente attuali.
Perciò non dobbiamo essere tentati dal qualunquismo o dal populismo, oppure dallo scoramento, e neppure dall’idea che tutto è stato fatto, che tutto è stato conquistato con il sangue e con il sacrificio della generazione dei partigiani combattenti durante i lunghi mesi di Resistenza attiva, militante, politicamente motivata. Non dobbiamo dare niente per scontato: questa consapevolezza costituisce una certezza fondamentale, che ci dà la forza di esporci e di lottare ancora.
Viviamo la complessità del mondo attuale, i problemi posti da una società malata, una società ‘liquida’, dove il senso di responsabilità individuale e reciproco; l’impegno costante per un progresso sociale ed umano; lo sguardo empatico verso l’Altro; sembrano essersi annacquati in forme di egoismo miope e ristretto. Una agghiacciante sequenza di stragi, di odio, di contrapposizione, di fili spinati, di muri, di intolleranza corre in Italia, in Europa, nel mondo. I giovani di oggi, noi tutti, dobbiamo opporci alla violenza di ogni genere per ribadire i valori conquistati settant’anni fa in modo drammatico.
Per puntellare il proprio coraggio oppositivo e costruttivo, per volgersi alla speranza, le giovani generazioni e tutti noi possiamo ancora guardare al passato, agli anni terribili, eppur luminosi, in cui altre generazioni di giovani, donne e uomini, hanno combattuto in molteplici forme, guerreggiate come civili, una Resistenza forte contro ideologie che altrimenti li avrebbero travolti tutti. Questi giovani si sono lucidamente opposti in nome della Libertà, dell’E guaglianza, della Fratellanza, insomma della Democrazia. Si sono posti obiettivi altissimi, e hanno lottato strenuamente per raggiungerli, certi della propria consapevolezza politica e umana.
Penso che la Resistenza, quella che io ho associato ad un concetto attuale e ho chiamato con un termine difficile e complesso Resilienza, messa in campo dal settembre 1943 all’a prile 1945, può costituire ancora per noi un paradigma fruibile. E’ senz’altro possibile porsi delle mete in nome di un giusto benessere contro tutte le forme di povertà, di precariato, di fragilità : un Bene – Essere, personale, sociale, comunitario; non egoistico, non chiuso in se stesso, ma aperto alle molteplici esperienze della vita, improntate alla pace e alla collaborazione umana. Lottare per raggiungere questo obiettivo costituisce una sfida che in ogni momento dobbiamo affrontare, in tutti i campi operativi, con determinazione, onestà e spirito di sacrificio.